Riccardo Paternò Castello - Spirito urbano | Maggio 2016
Cultore di una bellezza che ha radici antiche nelle terre di Sicilia, Riccardo Paternò Castello, formatosi nelle Accademie di Belle Arti di Roma, Firenze e Brera, è artista inquieto e versatile, il suo repertorio non imbrigliabile in ambiti fissi. Pittore, manipola, segna, tramuta la forma in intensità viva di significante e significato, restando libero di spaziare in generi diversi, dal ritratto alla natura morta e dal figurativo all’astratto, con transitorie incursioni o assidue frequentazioni - durevole e fuggente sono aspetti complementari di un’unica intensità di sentire- nella costante sperimentazione di tecniche (fotografia, disegno e pittura) e materiali (carta, tela, matite, gessetti o oli). Con Spirito urbano/Landscapes metropolitani inventa ritratti senza tempo di città. Smaterializza le superfici, ripensa lo spazio con una visione dall’alto e, attraverso un codice linguistico personale di segni che si accostano e si incastrano, come moduli in un puzzle, reinventa piani urbani che affiorano, sorgono, emergendo in superficie con la forza espressiva di monumenti cartografici. L’imago urbis così pianificata nasconde un meccanismo di provocazione visiva. Lo spazio, leggero, rivelazione luminosa del nero su bianco o della sanguigna sul nero, brulicante di segni, è tessuto di comunicazione su cui, ineludibile, pesa un’assenza: dove la struttura si fa luogo non ci sono storie che fanno la storia, nessuna concessione all’umanità e al ‘peccato del fare’. Artefice e artificiere (le sue opere sono tutt’altro che innocue),- Riccardo Paternò Castello forgia lo spirito delle sue città, Milano, Parigi o Venezia che, innervate di strade, restano sospese, colte nell’attimo in cui ogni perfezione rischia di implodere o deflagrare. La solitudine impregna ogni visione urbana e cede a una malinconia potente e dolcissima. Nel desiderio che tutto possa cambiare. Perché tutto resti com’è.
Myriam Zerbi “…nei suoi sogni, ora appaiono città leggere come aquiloni, città traforate come pizzi, città trasparenti come zanzariere, città nervatura di foglia, città linea della mano, città filigrana da vedere attraverso il loro opaco e fittizio spessore”. (Italo Calvino, Le città invisibili).
Le città sottili ed evanescenti, calligrafiche e solitarie di Riccardo Paternò Castello fanno pensare alle descrizioni fantastiche di Marco Polo e dell’imperatore Kublai Kan, evocate dalla penna dello scrittore Italo Calvino. Non importa se si è in Oriente o in Occidente, né interessa la ricerca di confini che conservano, nell’intrico del loro dipanarsi, una tensione verso l’infinito. Così Milano può assumere le sembianze di Ottavia, città ragnatela sospesa sull’abisso, con la sua rete di rapporti costruiti che serve da passaggio e da sostegno, mentre Venezia, uscita dalla pianta prospettica di Jacopo de Barbari attraverso i suoi roghi e il trascorrere fedele del tempo, complice e riconoscente una luna tinta di rosso, ha forse lo stesso privilegio della città di Lalage: il privilegio di crescere in leggerezza. “Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio - è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla”. E Paternò Castello, catanese d’origine, attraverso il medium della pittura, del disegno e della fotografia, con l’esperienza degli studi accademici che trasmigra in un personale e poliedrico percorso stilistico, la cerca, incessantemente: potenza della suggestione e abile perizia tecnica caratterizzano le sue vivide proiezioni mentali sature di realtà vissute e trasfigurate dalla luce e dalla freschezza rinnovatrice del segno iconico dell’artista. Luisa Turchi |
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